Il morbo africano e le guerre

Il morbo africano e le guerre

«Ex Africa semper aliquid novi», cioè dall’Africa sempre qualcosa di nuovo, diceva Plinio il Vecchio già duemila anni orsono. Ed è certamente così per quanto concerne le malattie infettive a base virale come dimostra anche questa “nuova” infezione che ha colpito la regione di Panzi, un’area di difficile accesso nel sud ovest della Repubblica Democratica del Congo. Se è ancora troppo presto per dire di che agente patogeno stiamo parlando, le ipotesi di lavoro sono chiare. Bisogna capire anzitutto se lo conosciamo già, ed in questo caso se siamo di fronte ad una sua possibile mutazione, come per intenderci succede ogni anno con i vari ceppe del virus influenzale, oppure se si tratta di un nuovo spillover, cioè di un “salto di specie” dal mondo animale a quello umano com’è avvenuto, sempre in Congo, per il più noto virus dell’AIDS negli anni ’80 del secolo scorso passato dalle scimmie verdi a noi. Lì si verificò il fenomeno poiché una zona tradizionalmente di foresta tropicale, molto scarsamente popolata dagli umani ma molto dalle scimmie verdi, fu ad un certo punto “invasa” dai cercatori d’oro che cominciarono a sottrarre, per le loro attività, territorio alle scimmie, che poi diventarono anche prede da cacciare. Se il caso fosse analogo si riaprirebbe il dibattitto sulla relazione tra antropizzazione dei territori e malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, un fenomeno relativamente recente che ha visto progressivamente restringersi gli spazi di separazione tra specie diverse per arrivare ad una promiscuità forzata foriera di nuove forme patogene. Lo spillover è tornato al centro delle cronache soprattutto in occasione della recente epidemia di Covid 19, ragionevolmente partita dalla vicinanza tra animali selvatici ed umani in zone altamente popolate come la città di Wuhan in Cina nel cui mercato molto probabilmente si è sviluppato il contagio. Ma se Wuhan era dotata di un importante laboratorio virologico, che ha al tempo stesso alimentato il sospetto che il Covid 19 fosse stato prodotto artificialmente come agente di una possibile guerra batteriologica, d’altra parte ha consentito il suo isolamento e tipizzazione in tempi relativamente brevi, alla polarità opposta, dal punto di vista sanitario, sembrerebbe invece la situazione congolese. E qui si ripresenta un problema annoso, quello delle cure di base in aree relativamente remote e soprattutto povere. Non a caso la maggior parte dei pazienti deceduti a causa del virus non hanno avuto accesso a nessun trattamento adeguato: assistenza respiratoria, trasfusioni, farmaci per contenere infezioni intercorrenti e via enumerando. Ora l’accesso alle cure primarie e la conseguente riduzione della mortalità è uno degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile approvato del 2015 all’unanimità dall’Assemblea generale dell’ONU da raggiungere entro il 2030. A questo fine le nazioni cosiddette sviluppate del mondo, Italia inclusa, si sono impegnate al loro conseguimento dedicando lo 0,7 % del loro PIL per il sostegno dei Paesi più poveri. Al momento, a soli cinque anni dalla scadenza, la quota dedicata a questi importanti obiettivi non arriva, nella media dei Paesi OSCE, che allo 0,3, mentre il nostro Paese rimane in coda con un risibile 0,2 che, peraltro, rischia fortemente di essere ancora tagliato in Legge di Bilancio, in distonia con il Piano Mattei per l’Africa che evidentemente non può ridursi prevalentemente agli investimenti in campo energetico se vuole effettivamente creare un partenariato per lo sviluppo del Continente. A ricordare al Governo i suoi impegni internazionali ci pensa la Campagna 070 che da anni vede ONG, mondo del volontariato cattolico e laico, promuovere iniziative a sostegno dei finanziamenti per la cooperazione internazionale allo sviluppo. Dall’altra parte della barricata, è il caso di dirlo, si spinge invece per il vertiginoso aumento delle spese militari che dovrebbero raggiungere il 2% del PIL, secondo gli ordini della nuova amministrazione americana, preparandosi così a scenari di guerra mondiali tralasciando completamente le iniziative diplomatiche e le soluzioni politiche a lungo termine. E dunque la spirale viziosa percorre un altro giro: povertà che genera malattie e migrazione, migranti che vanno fermati anche perché portano malattie, militarizzazione dei confini e linguaggio bellicista a sostegno dei confini. Rompere questa spirale è l’autentica missione della democrazia.
Raffaele K Salinari, Portavoce CINI, Coordinamento Italiano NGO Internazionali

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